Condividere le faccende domestiche.

Il giornalista: Buongiorno ai nostri cari ascoltatori e alle nostre care ascoltatrici. La puntata di oggi è dedicata agli incarchi domestici imposti alle donne. Oggi ne parleremo con un’esperta, una sociologa, filosofa e accademica italiana che ha ricoperto importanti cariche accademiche e istituzionali all’estero e in Italia. Buongiorno, professoressa!

La sociologa: Buongiorno a tutti e a tutte e grazie per avermi invitata per dibattere di questo tema tanto importante.

Il giornalista: Lei critica tanto il verbo “aiutare”. Non Le pare giusto che gli uomini aiutino in casa? Eppure tanti dichiarano di non abbandonare le loro mogli o compagne nello svolgimento delle faccende domestiche e altri impegni quotidiani, il che viene anche sottolineato da loro con un certo orgoglio.

La sociologa: Prima di tutto bisognerebbe riflettere sulla parola stessa “aiuto”. Aiutare vuol dire “prestare ad altri la propria opera in momenti di difficoltà o per cose che non sarebbero capaci di fare da soli”. Bisogna capire che la maggior parte degli incarichi a riguardo della cura della casa e dell’educazione dei bambini vengono ancora affidati alle donne. E i mariti o compagni le “aiutano”, per gentilezza o sotto richiesta, a fare la spesa, cucinare, pulire, prendersi cura delle necessità dei bambini. Le pare giusto?

Il giornalista: Comincio a capire… si tratta di dividersi equamente i compiti, vero?

La sociologa: Certo. E Le dico subito perché: la cura della casa e l’educazione dei figli sono una responsabilità comune, dunque vanno condivisi. L’uomo non dovrebbe “aiutare” sua moglie o compagna, ma partecipare pienamente alle faccende domestiche, perché quelle costituiscono la sua co‑responsabilità. Nei tempi di oggi, le donne sono presenti nel mondo del lavoro con gli stessi orari dei colleghi, il carico mentale come pensare e progettare la cura della casa e delle persone non può pesare in modo quasi esclusivo su di loro. Con il loro ingresso nel mondo del lavoro, soprattutto a partire dagli anni Settanta, le donne hanno ottenuto quella che una ricercatrice italiana definisce come “la doppia giornata lavorativa della donna”: una donna, un salario e due lavori.

Il giornalista: Ha ragione. Infatti, da un’indagine svolta da Save the Children nel 2017 è emerso che in Italia, una donna dedicherebbe in media 3,25 ore al giorno alle attività domestiche (cucinare, lavare, riordinare le stoviglie, pulire e riordinare la casa, stirare, curare il vestiario, prendersi cura del giardino o delle aree verdi dell’abitazione e occuparsi degli animali, costruzioni e riparazioni di vario genere e gestione della famiglia) contro 1,22 degli uomini. A questo si aggiunge la parte organizzativa per cui le donne devono istruire, chiedere aiuto e guidare gli uomini verso la realizzazione di una parte delle faccende da svolgere.

La sociologa: Ecco! Bisogna liberarsi del preconcetto che per le donne il lavoro domestico sia una predisposizione naturale e innata. Dovremmo tutti riflettere su quanto carico mentale imponiamo alle donne che vivono insieme a noi, a quanto pretendiamo da loro e a quanto devono rinunciare per fare cose che potremmo fare da soli, con un briciolo di impegno. Un aiuto saltuario nelle faccende domestiche non è una conquista, è il minimo sforzo fatto. Per far sì che le cose cambino davvero, per raggiungere un’equa distribuzione dei compiti, è necessario farsi carico attivo della metà del lavoro quotidiano per poter dire di aver raggiunto una parità reale nella coppia anche tra le mura domestiche. Se lavoriamo insieme e riposiamo insieme, possiamo costruire anche un bel rapporto e permettere a tutti e due partner di svilupparsi professionalmente. La carriera della donna è importante quanto quella dell’uomo, condividendo le faccende domestiche lasciamo a tutti e due la possibilità di sviluppo personale e professionale. Non ci sono scuse!

Il giornalista: Grazie di aver accettato il nostro invito e di averci spiegato perché non basta “aiutare” le donne. Credo che il suo messaggio sia stato molto chiaro: aiutare e condividere le proprie responsabilità non è la stessa cosa.

La sociologa: Grazie a Lei di avermi invitata. Bisogna cominciare a informarsi e riflettere per poter lottare contro gli stereotipi e i preconcetti. La testa non serve solo a portare il cappello. Buon pomeriggio a tutti gli ascoltatori e le ascoltatrici!